Azienda Agricola La Torre
Veduta della Tenuta La Torre
La storia dell'Azienda La Torre

La storia del Podere La Torre

Racconto di Luigi Ananìa

L'azienda La Torre nasce nel 1976 per opera di Giuseppe Ananìa che acquistò il Podere La Torre da una famiglia di Montalcino. La Torre era stata fino a pochi anni prima un podere mezzadrile con allevamento di bestiame, alberi di ciliegio, coltivazioni di grano e colture promiscue di olivo e di vite.

Quando arrivai a Montalcino ero giovane. Viaggiavo con mio padre su un'automobile bianca dove il reciproco desiderio di riconoscimento si risolveva in una sequenza di silenzi, sorrisi e disaccordi.

Un giorno mentre divagavo lo sguardo sull'orizzonte arrivammo in un luogo di luce intensa; in cima a una collina vi era un rudere e intorno un pascolo e una macchia di ginestre, rovi e lecci. Dal fienile abbandonato guardavamo le nuvole passare lasciandosi ammirare dall'alto; io e mio padre eravamo sopra le nuvole sempre insieme con affetto e risentimento.

Più tardi seppi che in quel rudere era trascorsa tanta vita e che alcuni anni prima vi abitava una famiglia di mezzadri composta da diciotto persone; le tracce che rimanevano di loro erano il nero sulle pareti del forno, un odore frammisto di stalla e di farina, degli steli di paglia sparsi nell'aia e tre grandi alberi di ciliegio; intorno alla collina il vento piegava le ginestre su una terra un tempo coltivata.

Quando mio padre decise di acquistare il podere, non credevo che quel luogo sarebbe diventato parte della mia vita, ma quel rudere, di cui ricordo ancora le pietre, gli intonaci bianchi e il vento che immaginavo anch’esso bianco, mi conquistò presto; un'imprevista seduzione di colori incominciò con il rosa azzurro del tramonto che illuminava i volti di una luce che non conoscevo, poi il blu delle notti che si accendevano di stelle e, infine, la luce dell'alba che svelava ogni fiore e germoglio nella meraviglia delle forme.

Ma oltre alla bellezza quel luogo diffuso di luce e d'orizzonte aveva un'affinità con la mia visione dello spazio, uno spazio infinito, ricco di futuro, vita e ipotesi di miei modi di essere. A quel tempo non avevo alcuna coscienza di come fossi e largheggiavo in un mare di contorni e di baricentri; la mia concezione dello spazio si intuiva dal passo largo, a volte esitante a volte spigliato come se nell'incedere esprimessi la confusione di disinvoltura e timidezza di un essere in fieri; la mia psiche navigava ancora in una sorta d'incoscienza e con le nuvole che guardavo dall'alto condividevo le forme passeggere, il movimento e la mutevolezza.

Forse quel mio essere sempre con la testa altrove non si confaceva con il mondo contadino cadenzato dalla necessità e dalle stagioni ma con i suoi abitanti scambiavo uno stesso linguaggio; infatti essendo anch'io di provenienza agricola parlavo una lingua che attingeva a un vocabolario originatosi in periodi di raccolte, semine ed attese.